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martedì, 3 Dicembre 2024

Giornalismo: 16 consigli per raccontare meglio le storie “sociali”

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Quando i giornalisti chiedono «una storia» alle associazioni di volontariato vengono a volte guardati con diffidenza. In alcuni casi li si accusa perfino di rincorrere gli aspetti più folcloristici della realtà, quasi di voler guardare la vita delle persone dal buco della serratura.

Ma la storia di una persona, di un gruppo, di una causa non ha nulla di folcloristico, ha invece un valore insostituibile: dà plasticità a un concetto, aiuta il lettore a passare dal mondo delle idee a quello delle cose e a comprendere, attraverso la forza dell’esperienza concreta, perché una determinata situazione può essere positiva o negativa, cosa si prova a starvi dentro e cosa si prova ad uscirne. Ma quali criteri deve seguire chi si trova nella posizione di «mediare» le storie tra i diretti interessati e i giornalisti? In collaborazione con Redattore sociale, CSVnet ha stilato un vademecum per i comunicatori dei Centri di servizio per il volontariato e per tutti coloro che svolgono tale funzione nelle organizzazioni del terzo settore. Eccone una sintesi.

  1. Consapevolezza. Liberarsi dal complesso di inferiorità verso i giornalisti: stiamo trattando argomenti cruciali per la vita di tutta la popolazione.
  2. Originalità. Non è difficile trovare una storia (un progetto, una persona fuori dal comune) nelle attività del volontariato, ma quella giusta deve avere elementi di originalità e interpretare il mood del momento.
  3. Valori. Il valore sociale di una storia è “presunto”: non va mai dato per acquisito, ma si deve conciliare con i valori “oggettivi” delle comunicazione (numero di spettatori, copie o click, possibilità di fare opinione ecc.).
  4. Emozione. Trovare nella storia elementi che abbiano la forza emotiva di illuminare le questioni che richiamano.
  5. Incontro. Cercare sempre di incontrare (o far incontrare) personalmente i protagonisti lasciando loro la parola, di entrare nei luoghi in cui la storia avviene.
  6. Fatti. Non eccedere con le spiegazioni. È la storia a parlare, non il nostro commento o le categorie predefinite a cui siamo spesso affezionati.
  7. Niente santini. Spesso le storie non sono lineari. Non si tratta di costruire santini, ma di saper raccontare la complessità della vita, con i suoi chiaroscuri.
  8. Autoreferenzialità. La storia delle persone è più importante dell’associazione, delle sue metodologie, dei modelli di intervento, dei report di progetto…
  9. Fonti e linguaggio. Valorizzare come fonti gli operatori sociali. Ma il comunicatore deve anche saper “tradurre” il loro linguaggio (senza stravolgerlo o banalizzarlo) per renderlo comprensibile all’esterno.
  10. Contesto. Saper proporre tutte le informazioni (ricerche, inchieste, dati) che permettano di collocare la storia in un quadro più ampio.
  11. Competenza. Essere sempre documentati e saper trattare sia gli aspetti concettuali che tecnici dei vari argomenti: un giornalista capisce al volo se dall’altra parte c’è una persona competente.
  12. Attualità. Fare attenzione alle questioni più discusse in quel momento dall’opinione pubblica. E oltre a puntualità e rapidità, per “battere la concorrenza” occorre sempre un surplus di propositività.
  13. Rispetto. I soggetti “deboli” non hanno quasi mai dimestichezza con la comunicazione: si deve saper tacere alcuni dettagli per proteggere la persona.
  14. Passione. A un comunicatore del sociale la sola professionalità non basta. Ci si aspetta che sia appassionato del proprio lavoro, creda in quello che fa e sia in grado di trasmetterlo.
  15. Saper dire no. Se il giornalista non dà garanzie sull’uso che farà della storia, rifiutare la collaborazione. O aprire mediazioni.
  16. Fiducia. Creare un rapporto di fiducia con i giornalisti, ma anche con le organizzazioni non profit, che devono percepire i comunicatori come soggetti capaci e sensibili alla loro cultura, approcci e richieste.

Leggi qui la versione integrale del vademecum.

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