In questi giorni bui, in cui nessuno fa (sa fare) il suo mestiere perché tutti sembrano capaci a fare tutto e a spiegare agli altri come si fa, capisco che quello che sto per scrivere possa venire equivocato. Il fatto è che ci sono cose che se non le sai fare si vede e altre che se non le sai fare o -peggio- le fai male, nessuno se ne accorge. Anzi: fanno scuola e diventano la norma. Per dire, se vi si rompe l’auto e la portate a riparare dal meccanico, quello vi fa aspettare due giorni, vi chiede duecento euro e quando andate a ritirarla la macchina non parte, voi ve ne accorgete. Vi rendete conto che si tratta di un lavoro fatto coi piedi, e da quel meccanico non ci andate più (se prima gli sputate è meglio). Se invece, per fare un altro esempio, leggete una storia raccontata coi piedi, magari su una testata prestigiosa, capita anche che non ve ne accorgiate; non tutti siamo esperti in tutto: quello che possiamo fare, ragionevolmente e senza impazzire, è fidarci del giornale che pubblica la storia in questione. Conviene? Direi che, tutto sommato, sì, ancora conviene.
Il problema, però, sono le inchieste fatte male. Qui l’esempio della moneta cattiva che scaccia quella buona non è quello giusto: possiamo invece pensare alle inchieste fatte male come a un veleno buttato in un pozzo pubblico, dal quale beve un intero villaggio. Lungi dalla mitridatizzazione, ben presto la gente comincerà a sentirsi una schifezza. Dice, eh ma mica si muore. No, però ammetterete che si vive una schifezza.
1) Diventa una spia
Molti giornalisti (soprattutto i pataccari) sono estremamente vanitosi e, per quanto stiano sempre a lamentarsi di non avere nemmeno un attimo di tempo, non resistono a un bel profilo su un social network. Ecco, se scoprite che l’autore dell’inchiesta che non vi ha convinto condivide quei bei link acchiappafessi (CLIKKA QUI E SCOPRI PERKE’), non mi fiderei tanto delle sue inchieste. Non mi crederete, ma una volta, a uno l’ho beccato mentre postava una cosa del genere.
2) Attenti all’ombelico
Il giornalismo narrativo deve narrare, ma non è che per forza debba narrare i fatti privati di chi scrive, o quelli che lo scandalizzano. Se paghi trenta euro un cappuccino è uno scandalo, ed è una storia che vale la pena raccontare. Se vai in un locale storico, con i camerieri che hanno titoli nobiliari e tre lauree, e il cappuccino te lo servono in finissima porcellana mentre un trio d’archi ti allieta la colazione, l’unica cosa che puoi raccontare è che ti è andata pure bene.
3) I fatti sono importanti
Certo che un giornalista deve raccontare una storia (se no, per esempio, basterebbe leggere le trentamila pagine in legalese di un processo qualsiasi), ma i fatti sono importanti. Se vi accorgete che, gira e volta, la narrazione non fa che ribadire le stesse cose che bene o male sapete già anche voi, se non vi fornisce qualche informazione provata di cui ignoravate l’esistenza, vi consiglierei di abbandonare, ecco.
4) Notate se s’incazza qualcuno
E’ come per la satira: se son tutti contenti, qualcosa non va. E’ una regola facile facile ma funziona sempre.
5) Attenti alle gogne
Non dirò gogne mediatiche perché mi vergogno (e mi asterrò anche dal termine autos da fè), ma è certo che quando qualcuno viene sbattuto in piazza perché gli altri lo sputino, c’è sempre qualcuno che ha voluto una cosa del genere. Un giornalismo narrativo che si rispetti queste cose non le fa. Una cosa è il colore, un’altra è saper trasformare in bella prosa lo squallore delle nostre brutte società: un’altra è andare a prendere pece e piume e insegnare ai buzzurri come usarli. Se c’è una gogna, qualcosa non va, sempre.