Franca Giansoldati, giornalista de Il Messaggero, è diventata nel 2014 la seconda donna della storia a intervistare un Pontefice. Poiché Papa Francesco ha già concesso varie interviste a diversi media e lo hanno fatto anche Benedetto XVI (con Peter Seewald) e Giovanni Paolo II (basta ricordare Vittorio Messori), l’importanza del fatto che una donna abbia intervistato un Pontefice è stata minore.
Si tratta, però, di un fatto piuttosto insolito, e ancor più straordinario se si pensa a chi è stata la prima a farlo, perché per trovare un caso simile bisogna risalire al 1892.
Chi è stata la prima giornalista a intervistare un Papa? Le emeroteche portano alla luce un fatto sorprendente: l’onore è spettato alla giornalista francese, socialista e agnostica Caroline Rémy, più nota con lo pseudonimo letterario di Séverine, che il 31 luglio 1892 riuscì a intervistare Papa Leone XIII nei palazzi vaticani in un colloquio durato quasi un’ora e mezza.
L’articolo venne pubblicato il 4 agosto sul quotidiano Le Figaro in prima pagina, e suscitò grandi reazioni a livello politico e diplomatico, perché in quel momento la Francia ardeva per il via del polemico caso Dreyfus.
Per chi non lo ricordi, si tratta dello scandalo per il processo al capitano dell’Esercito francese Alfred Dreyfus, accusato di alto tradimento e deportato con false prove orchestrate per condannarlo.
A ravvivare la polemica era però il fatto che una delle accuse contro di lui riguardava la sua origine ebraica, il che scatenò una forte ondata di antisemitismo nell’opinione pubblica francese, soprattutto tra i gruppi di destra, tra i quali l’Action Française di Charles Maurras, sostenuta da molti cattolici.
Séverine, insieme ad Émile Zola e ad altri intellettuali di spicco, difese Dreyfus, e fece ancor di più: dato che molti giustificavano l’antisemitismo del proprio atteggiamento facendo appello alla fede cattolica, ebbe il coraggio di andare dal capo della Chiesa per chiedergli cosa pensasse dell’antisemitismo stesso.
L’intervista, secondo quanto riferisce L’Osservatore Romano, venne gestita dall’allora cardinale Segretaro di Stato, Mariano Rampolla del Tindaro. La Rémy gli scrisse il 9 luglio precedente presentandosi come “una donna che è stata cristiana e se ne ricorda, per amare i piccoli e difendere e deboli”, e “una socialista che pur non essendo in stato di grazia ha custodito intatto nel suo cuore ferito il rispetto profondo per la fede, la venerazione degli augusti anziani e dei sovrani prigionieri”.
Il Pontefice rispose alle domande della Rémy senza vacillare, ricordando che Cristo non fa eccezione di persone, e che il Papa di Roma aveva protetto storicamente gli ebrei del ghetto. Leone XIII aveva all’epoca 82 anni. Va ricordato che dopo l’unificazione d’Italia e l’invasione dello Stato Pontificio il Papa si considerava prigioniero in Vaticano, situazione risolta dai Patti Lateranensi del 1929 con Pio XI.
“Considererei indegno e ingiusto attribuire al Santo Padre una sola parola che non fosse rigorosamente esatta, e anche esagerare ciò che ha voluto rispondermi”, scriveva la giornalista su Le Figaro. “Anche se non ha detto neanche una volta ‘Condanno’, ha detto dieci volte in un’ora ‘Non approvo’. Lascio ai cattolici il compito di trarre da questo atteggiamento la conclusione che preferiscono”, aggiungeva.
Durante tutta l’intervista, Séverine mostrò un affetto speciale per quell’“anziano tanto commovente e augusto”, che “alza la mano solo per benedire”. A un certo punto gli chiese del rapporto tra la Chiesa e il popolo ebraico. “Cristo ha effuso il sangue per tutti gli uomini senza eccezioni, anche per quelli che, non credendo in lui, si ostinano a non riconoscerlo”, rispose il Pontefice.
“La Chiesa deve ricordare loro la verità”, dichiarava Leone XIII. “Con la persuasione o la persecuzione, Santo Padre?”, gli chiese la giornalista. “’Con la persuasione!’, risponde vivacemente il Papa”.
“La Chiesa”, aggiungeva il Pontefice, “è una madre indulgente con le braccia sempre aperte sia per chi se ne va che per chi ritorna. E ha la missione di difendere i deboli. Gli empi che la rifiutano devono essere i suoi prediletti”.
L’intervista di Le Figaro può essere consultata presso la Biblioteca Nazionale francese.
Caroline Rémy è diventata una delle giornaliste più ammirate della Francia. Ha collaborato con quasi tutti i quotidiani del Paese, ed è sempre stata ricordata per il suo carattere generoso e combattivo, che le ha fatto guadagnare l’apprezzamento anche degli avversari. È morta il 22 aprile 1929, mormorando che doveva finire di scrivere ancora vari articoli.
Va ricordato che la Santa Sede ha posto le opere di Maurras tra i libri proibiti nel 1926, il che ha rappresentato un grave colpo per i suoi simpatizzanti tra i cattolici francesi.